Alla GAM per Steve McCurry
Alla GAM per Steve McCurry.
Quasi allo scadere del 2016, nell’ambito delle attività di queste vacanze invernali previste dal Centro Tau, si è svolta una visita molto speciale e ricca di contenuti. Nella mattinata di mercoledì 28 dicembre alcuni ragazzi si sono dati appuntamento alla Galleria d’Arte Moderna sita in Piazza Sant’Anna per la personale di “Steve McCurry. Icons”. La mostra è uno degli eventi più sponsorizzati a Palermo e certamente tra gli appuntamenti imperdibili per tutti gli appassionati di fotografia e non solo. Un’accurata selezione degli scatti più significativi della lunghissima carriera del fotoreporter statunitense “arreda” i locali della Galleria e continuerà a farlo fino al 19 febbraio 2017. Si tratta di un’occasione pressoché unica dato che questa è la prima (e forse l’ultima) volta che le fotografie di Steve McCurry sono esposte in una location palermitana.
Nonostante il “manifesto” dell’opera di McCurry sia la ragazza afghana – celeberrima per quello scatto che la ritrae con quegli occhi vitrei ed estremamente profondi – le fotografie esposte alla GAM offrono utili spunti di riflessione e punti di vista certamente inediti per tutti i “comuni mortali” che non hanno girato il mondo come invece ha potuto fare McCurry, tra ostilità geografiche e scenari desolati in territori sperduti e silenziosi. L’impressione immediata che si trae da molte immagini è appunto il silenzio: i ritratti lasciano uscire fuori appena il rumore del vento su capelli, vesti, chiome e paesaggi inevitabilmente immobili. Ma altre, in numero ridotto, emettono un fracasso assordante: è il caso delle scene strazianti dell’immediato post 11 settembre, o dell’incendio divampato all’orizzonte del deserto pakistano, così come i bambini che giocano sul cannone di un carro armato. Tutti istanti immortalati con uno straordinario senso dell’inquadratura e degli spazi, per cui ogni cosa ha il suo posto, anche se non sappiamo quanto e come giochi un ruolo la casualità di alcuni eventi all’interno del risultato finale.
Certo è che il fotoreporter americano ha raggiunto – non sempre se citiamo gli scatti a Roma, Venezia, New York ed altre metropoli – angoli del pianeta poco esplorati. E’ importante sottolineare come l’attenzione non ricada sulla maestosità dei paesaggi o sulla distanza che si percepisce guardando, ad esempio, lande desertiche eurasiatiche. Vincono i volti, i primi piani, le sagome minuscole sommerse dal colore (o dalla pietra grezza di un tempio birmano, per fare un esempio), in poche parole: le persone sono protagoniste, come vittime denudate da un ritratto spietato o come piccole creature nell’immensità del mondo.
Daniele Monteleone